venerdì 31 ottobre 2014

Quanto vale la vita umana?

L'assedio della violenza spettacolarizzata è il bisogno di un esame di coscienza
di Luigi Alici
(tratto da Dialoghi n. 3 anno XIV)

Non avremmo mai immaginato un assedio più straziante e intollerabile di questo. La stampa, la televisione e ancora più la rete sono ammorbati, in questi mesi, da un orrendo odore di morte.
Il popolo dei social network, in particolare, al netto di paranoie maniacali da cui sembra invincibilmente attratto, intercetta e rilancia quasi ossessivamente foto e filmati raccapriccianti soprattutto legati a efferate esecuzioni sommarie da parte dei Jihadisti in Iraq.
La tecnologia ci consente di vedere quello che non avremmo mai immaginato: decapitazioni tra sghignazzi osceni, che nessuno accetterebbe mai di lasciar compiere su un animale; ragazze cristiane vendute come schiave, mamme urlanti e bambini yazidi disperati in marcia nel deserto, condannati a morire  o a sopravvivere in quel mix di disperazione e di odio che è l'incubatore perfetto di violenze inimmaginabili.
Il progresso è una medaglia: più aumenta il diametro, più crescono insieme, simultaneamente, le due facce opposte, positiva e negativa.
C'è qualcosa di inquietante in questa strana coabitazione di efficiente tecnologia e di cupa regressione nella barbarie. In molti casi, si ha la sensazione netta che la ferocia sia un ingrediente essenziale della spettacolarizzazione. Si può distruggere una vita con un gesto di crudeltà del tutto immotivata e gratuita, e questo è di per sé un atto gravissimo; lo si può fare, però, anche in modo calcolato e strumentale, perché quel sacrificio non sia "sprecato" ma serva ad un'astuta contabilità di morte, come l'ingrediente più efficace di un'aberrante logica (?) di potere. Questo - se possibile - è ancora peggio. I gironi infernali che sprofondano verso l'abisso del male sembrano non aver mai fine.

lunedì 27 ottobre 2014

Ciò che rende la fede difficile

Vademecum per pellegrini che si stancano spesso
di Jean-Paul Hernandez

Le difficoltà della fede sono le stesse difficoltà dell'amore. Perché la fede è una relazione che vive solo se ama. La Bibbia descrive al fede come un saper rischiare. La si può paragonare al passo in avanti di un corpo umano.
In effetti ogni passo è l'inizio di un precipitare. E' una perdita di equilibrio, una possibile caduta. Il passo è uno squilibrio tra due brevi momenti di equilibrio. Si può dire che il passo è quel "sapere" che trasforma che trasforma la caduta in uno spostamento in avanti. Si vede bene nei bambini piccoli, quando iniziano a "saper camminare". Ogni spostamento della gamba è un terribile rischio! Così è la fede. Essa non cancella l'instabilità umana ma la trasforma in un progresso.
Come il camminare in posizione verticale, la fede è qualcosa di "quasi innato" nell'uomo. Anzi di specifico. Gli antropologi parlano di "homo viator". Eppure è qualcosa che si impara. Senza l'esempio e l'accompagnamento del genitore il bambino camminerebbe in modo molto goffo. Così la fede è accompagnata da un "maestro" che insegna a "saper credere". Questa "madre nella fede" può essere la famiglia, la comunità, un amico, dei testimoni. E' ciò che i primi cristiani hanno chiamato "la Chiesa".
Il cammino del credente non è un evitare i rischi, non è un cercare la stabilità o una quiete - solo un morto è stabile! Il credente è e deve essere uno squilibrato, uno sbilanciato. Il camminare nella fede è quella sapienza che porta il corpo, squilibrio dopo squilibrio, al luogo del suo desiderio. Perciò nella Bibbia l'immagine del credente è quella del pellegrino. Cioè di qualcuno che arriverà alla metà dopo che tanti suoi squilibri saranno diventato amore.

giovedì 23 ottobre 2014

Identità e storia delle Pietre Vive

Se un pagano viene e ti dice: "mostrami la tua fede!", tu portalo in chiesa e mostragli la decorazione di cui è ornata e spiegagli la serie dei sacri quadri. (San Giovanni Damasceno)
Jean-Paul Hernandez
(http://pietrevive.altervista.org/)

Come fare per annunciare il Vangelo ai lontani? Spesso nei luoghi di fede esplicita, dove facciamo “servizio della Parola”, i lontani sono assenti. E invece nei luoghi in cui incontriamo i lontani, rimaniamo a un Vangelo molto “implicito”. Allora dove trovare dei lontani pronti ad ascoltare un annuncio esplicito? Una risposta sorprendente perché molto semplice è: nelle chiese. Proprio nelle nostre chiese.
Noi pensiamo che i non credenti siano “irraggiungibili”, ma in realtà essi sono già a “casa nostra”, sempre di più.
Noi pensiamo che siano da cercare con mille strategie e mediazioni lunghe. Ma in realtà sono essi che ci cercano da tempo. I “lontani” sono venuti a cercarci a casa nostra e spesso non ci hanno trovato. In Europa e in una buona parte del mondo occidentale la religiosità vive uno strano paradosso: più la società è detta “secolarizzata” e più cresce l’interesse per i grandi monumenti religiosi che la storia ha disseminato nella nostra geografia.
Le visite ai grandi monasteri, alle cattedrali, alle chiese della grande Tradizione cristiana non cessano di aumentare, e il turismo religioso è uno dei pochi settori che non soffre della crisi. Meno si va “in chiesa”, più si va “nelle chiese”.