lunedì 5 febbraio 2018

L' hate speech tra libertà di espressione e tutela della dignità

Dopo i terribili fatti dell'ultima settimana a Macerata, una riflessione sul "linguaggio di odio" che imperversa a tutti i livelli (politica, social, media) e sulla sua influenza tratta dall'ultimo numero di Dialoghi (4/2017).

C'è un rapporto tra hate speech, il linguaggio dell'odio, ed episodi di intolleranza, discriminazione e violenza? Solo una "comunicazione costruttiva" permette alle parole di essere strumento di pace e non di violenza.
di Mattia F. Ferrem

Sempre più va diffondendosi nel dibattito pubblico l'attenzione verso l' hate speech (o linguaggio d'odio, per impiegare l'espressione italiana) e si susseguono le iniziative per contrastare tale fenomeno, in considerazione del nesso tra espressioni d'odio, da una parte, e atti di intolleranza, discriminazione o violenza, anche terroristica, dall'altra. 
Prima di trattare del rapporto esistente tra discorso d'odio e violenza, è bene, però, premettere che non esiste né a livello nazionale, né internazionale, una definizione condivisa di hate speech.
In particolare, se è pacifico come tratto identificativo dell' hate speech il fatto di essere indirizzato nei confronti di uno specifico gruppo di persone che condivide una particolare caratteristica (carne l'etnia, la nazionalità, la religione, il sesso, la disabilità), è, invece, piuttosto controverso quali possano essere considerate espressioni di odio/ostilità/pregiudizio, tali da costituire un discorso d'odio. 
Di conseguenza, al novero degli hate speech si può ricondurre una vastissima gamma di espressioni, che va dalla vera e propria istigazione alla violenza contro uno specifico gruppo etnico o religioso, al mero impiego dei pronomi maschili e femminili, da taluni ritenuto non rispettoso del divieto di discriminazione sulla base dell'identità di genere.