Il Piccolo Fratello di Charles de Foucauld compie 100 anni.
di Simone Baroncia
Venerdì 30 novembre fratel Arturo Paoli compie 100 anni. Un doveroso augurio a chi in tutti questi anni non ha mai smesso di
educare i giovani alla speranza cristiana ed all’impegno nella società.
Raccontare la sua storia è impossibile per la sua intensa vita di fedeltà a
Gesù Cristo, ma raccontare ciò che ha seminato in chi ha avuto l’opportunità di
ascoltarlo è possibile, in quanto raccontava dell’incontro di Cristo con un
sorriso ed una gioia contaminante. La sua storia di impegno cristiano inizia
nella Resistenza, per proseguire negli anni ‘50 con l’impegno di vice
assistente nazionale dell’Azione Cattolica, che lascia poco dopo per posizioni
di coerenza verso l’impegno di formatore di giovani; diventa un ‘migrante’ (è
imbarcato, infatti, come assistente spirituale sulle navi che portano gli
italiani verso l’Argentina). Poi la scoperta della Fraternità dei Piccoli
Fratelli che lo porterà nel deserto del Sahara, nella parte algerina, seguendo
le orme di Charles de Foucauld, e trascorrendo 13 mesi il suo noviziato
religioso (obbligatorio per poter entrare nella Congregazione), nel deserto del
Sahara.
Per Israele è un ‘giusto delle nazioni’ per aver salvato 800 ebrei
durante l’occupazione nazifascista, fratel Arturo Paoli, facendo propria la
frase di Telhard de Chardin ‘Armonizzare il mondo’, è stato sempre vicino ai
bisogni dell’uomo: la giustizia, tutta, la fraternità, la libertà; dalla parte
dei “perseguitati della Storia, perché la chiesa, non tutta, ha ritirato Dio in
cielo, mentre essere cristiani vuole dire portare lo spirituale nella vita
delle persone: i castelli di cartone bruciano e infaticabilmente gli uomini ne
creano altri, ma il vero senso della storia è creare libertà e uguaglianza i
veri bisogni radicali dell’uomo”, in quanto ‘camminando si apre cammino’.Ed a 50 anni dall’evento conciliare fratel Arturo Paoli, perché impossibilitato a parteciparvi nonostante la sua volontà, ha inviato un messaggio all'Assemblea convocata il 14 settembre scorso a Roma da alcune associazioni cattoliche per celebrare e rilanciare il Concilio Vaticano II: “Noi ci troviamo di fronte a una cosiddetta civiltà cristiana frantumata, diventata sterile per i più. Bisogna essere assoluti e pensare che il cristianesimo non è legge astratta ma è incarnazione della giustizia, della pace, della concordia tra gli uomini... Queste idee le ho vissute incarnate in America Latina. Avete mai pensato a quello che diceva il nostro compianto Balducci, che noi siamo la terra del tramonto e che dobbiamo valorizzare continenti come l'America Latina e l'Africa?... Non potremo mai sperare una primavera della fede se non partendo dal concetto dell'incarnazione. Non dimentichiamo mai che il primo teologo della liberazione è stato Gesù che non ci ha lasciato teorie ma pratiche concrete”.
Ha scritto della sua esperienza conciliare vissuta in Brasile: “Io credo nella teologia della liberazione perché questa vuole che la fede in Cristo sia la guida che attraverso la vita concreta il lavoro la convivenza si realizzi la giustizia e si scopra praticamente la terra tutta la terra è dono di Dio. Nonostante le grandi teologie l’Europa ha accolto e vive della dominazione del capitale. Conoscete quello che Gesù ha detto che il denaro è l’antitesi di Cristo e della sua verità? Tornando alla proibizione venuta da Roma di trasformare le comunità di base in comunità cristiane si torna alla teologia astratta, costruzione intelligente di grandi teorie che mai arriveranno a trasformare la nostra storia in storia del Regno di Dio. Sono convinto che la prima terra di applicazione delle intuizioni fondamentali del Concilio poteva essere l’America latina. Il Concilio di Medellin cui partecipò papa Paolo VI fu l’ultimo che annunziava un cristianesimo non teorico ma incarnato nel lavoro nella vita concreta degli uomini. Ripensando al concilio noi ci troviamo di fronte a una cosiddetta civiltà cristiana frantumata diventata sterile per i più”.
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