Il discorso di Vittorio Bachelet alla II assemblea.
di Simone Baroncia
Vittorio Bachelet (Roma, 20 febbraio 1926 – Roma, 12 febbraio 1980) è stato un giurista e politico italiano, fu assassinato dalle Brigate Rosse.
Ultimo dei nove figli di Giovanni, ufficiale dell'esercito, e di Maria Bosio, ancora bambino si iscrive all'Azione Cattolica, presso il circolo parrocchiale di S. Antonio di Savena di Bologna, dove allora vive la sua famiglia. Non abbandona mai la militanza nell'Azione Cattolica e ne diviene uno dei principali dirigenti nazionali. Papa Giovanni XXIII nel 1959 lo nomina vicepresidente nazionale e nel 1964 Paolo VI lo nomina Presidente Generale per la prima volta (verrà riconfermato anche per i due mandati successivi, fino al 1973; per l'ultimo mandato è eletto dal Consiglio Nazionale e non più nominato dal Papa, secondo il nuovo statuto che proprio Paolo VI ha incoraggiato e approvato nel 1969).
Di seguito riportiamo il conclusivo di Vittorio Bachelet alla seconda Assemblea nazionale dell'ACI (Roma, 20-23 settembre 1973).
Io credo che il nostro ringraziamento dev'essere non solo per l'udienza di ieri, ma per l'attenzione affettuosa di sempre: voi avete visto con quanto affetto ha riletto il nostro Statuto (che aveva già a suo tempo approvato). Questa è una cosa bella, che i nostri vescovi e il Papa abbiano non solo emanato uno Statuto nuovo, ma abbiano approvato lo Statuto che noi avevamo preparato e abbiano riconosciuto in questo dei valori; credo che sia una cosa estremamente significativa nella vita della Chiesa, in cui tante cose crescono, tante cose vanno male, ma tante cose veramente pian piano si sviluppano positivamente. E da questo punto di vista vorrei dire: noi ci lamentiamo di non essere sempre aiutati o capiti dai nostri sacerdoti, dai nostri vescovi. Qualche volta forse è anche così, ma che volete:
dobbiamo fare uno sforzo per capirci davvero a vicenda. E una fatica da parte di tutti, anche loro fanno fatica a capirci a volte, come qualche volta possono giustamente lamentarsi di non essere capiti, e dopo di che, se ce lo siamo detto e non facciamo niente per crescere in questo incontro, o non sappiamo che è faticoso crescere in questo incontro, concludiamo poco davvero.
La mia esperienza è che tutte le volte in cui con serenità, con affetto, anche con tenacia (perché non crediate che non ci siano occasioni di tensione anche fra uomini pacifici, come sembra essere il vostro Presidente, che qualche volta ha preso anche delle posizioni abbastanza precise nei rapporti con i Vescovi), la mia esperienza, dicevo è che quando c'è una fiducia reciproca di base pian piano le cose crescono, maturano; e molto spesso si realizzano positivi incontri che aiutano la crescita di tutta la Chiesa. E questo dovrebbe esser sempre lo spirito nostro.
Dicevo il mio ringraziamento al Papa, perché veramente io l'ho sentito in questi anni sempre vicinissimo come un aiuto paterno, vorrei dire perfino fraterno nel mio lavoro personale. Non so se l'AC in questi anni avrebbe potuto riprendere consistenza, vita, amicizia, impegno missionario senza il suo aiuto, la sua attenzione costante. E di questo noi Gli siamo grati: per avere avuto fiducia in noi, proprio in quanto esperienza, espressione di un laicato che vuol essere attivo, responsabile, ma nella realtà e nello spirito della comunione della Chiesa.
Vorrei ringraziare anche quelli che hanno dato notizia dei nostri lavori, in particolare l'Avvenire e l'Osservatore Romano, che hanno seguito molto attentamente i nostri lavori. A questo proposito raccomando l'Avvenire anche alla vostra cura, alla vostra attenzione; è uno sforzo per portare una voce di dialogo, d'informazione nella nostra vita della società, nella nostra realtà della Chiesa, in momenti in cui l'informazione è sempre più difficile (un giornale ha scritto che io nella mia relazione ho detto che erano aumentate le adesioni all'AC, lo avrei detto volentieri, ma in realtà mi potete dare testimonianza che purtroppo non era il caso). Questa informazione attenta, questa informazione esatta e diligente della vita della Chiesa è un servizio del quale lo ringraziamo e di cui credo abbiamo davvero bisogno.
Ringrazio tutti coloro che nella Presidenza di questa Assemblea prima di tutto, ma ancora in modo più duraturo nella Presidenza dell'Associazione, in questi anni hanno portato la responsabilità del Centro nazionale: Sitia Sassudelli, Mario Agnes, Maria Teresa Vaccari, Mimmo Perino, Giovanna Benevento, Gianfranco Maggi, Tommaso Seu. E ringrazio anche quelli che non sono oggi qui, ma che hanno, in questo triennio, prestato il loro servizio: Grazia Fuccaro in particolare, Paolo Chiodini che, sapete, è in Africa, ma è vicino a noi in questi giorni. E poi consentite:
il mio vecchio amico e segretario generale Bruno Paparella con cui abbiamo condiviso per tanti anni la fatica anche più quotidiana della Presidenza Generale.
Un particolare grazie ai nostri amministratori, Seu e gli altri amici che ci hanno aiutato; sono stati anni abbastanza difficili, qualcuno si è lamentato che non sono stati sufficientemente condivisi con tutte le associazioni (non sempre sarebbe stata facile questa condivisione in questa materia, quando la situazione era scottante), comunque il loro aiuto qui è stato veramente grande. E, naturalmente, grazie a tutti gli Assistenti e particolarmente (Mons. Costa lo abbiamo ringraziato ieri), Monsignor Maverna, che ha accettato di lasciare la sua diocesi (per un vescovo è una cosa grossa) per venire ad esercitare il suo ministero pastorale fra di noi. E un dono grande di cui noi lo ringraziamo, e lo ringraziamo anche dell'amicizia con cui è sempre fra di noi; è uno col quale voi potrete sempre parlare, sicuri che vi ascolta con libertà di spirito. Di questo lo ringraziamo: della sua guida e della sua preghiera costante. Naturalmente ci sarebbero da ringraziare anche tanti altri, ma non posso ricordarli uno per uno.
Dopo nove anni di esperienza, anzi dopo quasi quindici anni di responsabilità varie nella presidenza nazionale, mi si potrebbe chiedere: vale la pena di impegnarsi nel servizio dell'AC? E una domanda che mi sono posto soprattutto all'inizio, quando mi è stato chiesto un lavoro cosi impegnativo nel servizio centrale dell'AC: e già allora avevo risposto positivamente.
Ma l'esperienza di questi anni mi ha confermato che questo servizio, questa rete di amicizie, questa realtà di preghiera, di azione, di riflessione, di sacrificio, questa realtà che si sforza di portare avanti con semplicità, senza rumore, nella Chiesa italiana un discorso che ci aiuti a crescere tutti e ci porti, per quanto possiamo, faticosamente, lentamente ma positivamente sulle vie indicate dal Concilio - che poi sono le vie indicate dal Signore -; questo sforzo, questa fatica, questo tempo che noi strappiamo alle nostre occupazioni, alla nostra famiglia, alla nostra vita quotidiana vale la pena davvero di essere speso. Non - credo - perché ci siano grandi probabilità che anche nel prossimo futuro, salvo parole incoraggianti come quelle del Papa, che ci danno una consolazione, un conforto, una guida, noi pensiamo di avere grandi soddisfazioni o grandi successi o che la stampa ci colmi di elogi, ci dica quanto siamo intelligenti, bravi... Non sarà cosi se faremo un lavoro serio, perché questo difficilmente ha di questi risultati così esterni, ma un lavoro costruttivo, ma un lavoro utile, si, questo possiamo farlo in Azione Cattolica.
Che cosa è l'Azione Cattolica? Ne abbiamo parlato molto, ma mi pare che sia soprattutto una realtà di cristiani che si conoscono, che si vogliono bene, che lavorano assieme nel nome del Signore, che sono amici: e questa rete di uomini e donne che lavorano in tutte le diocesi, e di giovani, e di adulti, e di ragazzi e di fanciulli, che in tutta la Chiesa italiana con concordia, con uno spirito comune, senza troppe ormai sovrastrutture organizzative, ma veramente essendo sempre più un cuor solo e un'anima sola cercano di servire la Chiesa. E questa è la grande cosa. Perché noi serviamo l'AC non poi perché c'interessa di fare grande l'AC, noi serviamo l'AC perché c'interessa di rendere nella Chiesa il servizio che ci è chiesto per tutti i fratelli. E questa credo sia la cosa veramente importante.
Qualche volta viene voglia di guardare al futuro, al futuro della nostra associazione, ma soprattutto al futuro della Chiesa e dell'umanità. Io credo che dobbiamo guardare a questo futuro con fiducia, ed anche con speranza, anche se siamo abbastanza sicuri che le difficoltà che ci saranno non saranno forse gran ché minori di quelle che abbiamo avuto fino ad ora. Ma dobbiamo guardare con fiducia, senza lasciarci prendere da un atteggiamento che qualche volta rischia di morderci il cuore; in particolare nella vita della Chiesa c'è questa sensazione del pericolo del “riflusso” nella vita della Chiesa (tutti ne parlano). E certo il rischio di guardare indietro anziché andare avanti è un rischio che abbiamo tutti noi; noi pensiamo che lo abbiano gli altri, ma spesso lo abbiamo anche noi, quando pensiamo forse invece di andare avanti. Questo rischio c'è, forse c'è anche il pensiero per qualcuno che l'AC possa rivigoreggiare per essere una specie di forza di polizia della Chiesa... Ma non vi preoccupate molto di questo, perché non è questo che conta. Quello che conta è avere nel nostro cuore e nella nostra azione, nel nostro programma qualcosa di positivo da proporre. Se noi ci lasciamo mordere il cuore da questo atteggiamento di continuo timore, di sfiducia, d'interpretazione sempre un poco parziale, in questa chiave, di ogni cosa che avviene, temo che non sapremo costruire. Per costruire ci vuole la speranza. In fondo io penso che noi dovremmo riflettere molto le grandi parole che diceva Giovanni all'inizio del Concilio: “Ci sono quelli che vedono sempre che tutto va male, e invece noi pensiamo che ci siano tante cose valide, positive”. Noi dobbiamo tenerlo fermo come atteggiamento di speranza, che ci consente di vincere anche queste ombre, di vincere anche questi rischi, di vincere il male con il bene.
E questo vale anche nella vita della società. Ne abbiamo parlato tanto. È un impegno che dobbiamo riscoprire nella sua essenzialità cristiana. E anche qui, se ci saranno situazioni difficili (e ci saranno probabilmente anche qui delle situazioni difficili), dobbiamo sempre tenere presente una fiducia fondamentale, che non è quella nelle nostre forze o in formulette, ma è quella dell'aiuto finale di Dio e nella capacità che avremo, se fideremo in Lui, di volgere le cose al bene.
Scusate se cito un pezzo di Bonhoeffer - che era un uomo di grande spiritualità -. “Io credo, (diceva) che Dio può e vuole far nascere il bene da ogni cosa. Per questo egli ha bisogno di uomini che si pongano al servizio di ogni cosa per volgerla al bene. Io credo che Dio, in ogni situazione difficile, ci concederà tanta forza di resistenza quanta ne avremo bisogno. Egli però non la concede in anticipo, affinché ci abbandoniamo interamente in lui e non in noi stessi. Ogni paura per il futuro dovrebbe essere superata con questa fede”.
Io credo che questo atteggiamento di fede in lui, di serenità noi dovremmo portare nel nostro cuore, noi dovremmo diffondere largamente intorno a noi.
E, se mi consentite, vorrei che questo fosse il mio augurio, il mio saluto a tutti gli amici di tutte le nostre diocesi e parrocchie. Ci pensavo stamattina durante la Messa: questa Assemblea che insieme spezzava il Pane, che partecipava dell'unico Corpo di Cristo e tanti nostri amici che nelle diocesi, nelle parrocchie italiane erano con noi, rappresentati da voi, e mi sentivo unito con tutti loro. Vi chiedo di salutarli, ma di dir loro soprattutto che si va avanti con la fiducia e con la speranza, con la fiducia nel Signore, e si va avanti pagando qualcosa. Lo spirito di servizio - è stato ricordato da qualcuno - è una delle scelte non forse dichiarate, ma profonde, dell'AC di sempre.
Dice Tagore e tutti dovremmo poter dire alla fine della nostra vita: “Io dormivo e sognavo che la vita non era che gioia; mi svegliai e ho visto che la vita non era che servizio. Io ho servito e ho visto che il servizio era la gioia”. Che tutti noi sappiamo davvero riscoprire che il servizio è la gioia.
Questo è l'augurio del vostro fedele servitore, il “campanaro della Domus Pacis”.
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