martedì 18 marzo 2014

La veste adeguata

La 4^ scheda di approfondimento per la formazione di adulti e giovani.

Grazie alla competenza e professionalità del prof. Stefano D'Amico, pubblichiamo la quarta scheda di approfondimento per la formazione di giovani ed adulti sul tema della Giustizia.

Hans Holbein il giovane "Gli Ambasciatori"
Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senza l'abito nuziale? E quello ammutolì. (Mt 22, 11-12).
Lo sappiamo tutti che l'abito non fa il monaco. Le apparenze non ci devono ingannare. Ma ci sono occasioni in cui l'abito adeguato, quello giusto-al posto giusto-nel momento giusto è molto importante e non per questioni estetiche. Me lo hanno insegnato i miei vecchi: per tutta la settimana vestiti con gli abiti da lavoro, i pantaloni rattoppati di mio nonno contadino e la tuta sporca di grasso di mio padre operaio, simboli di una vita povera (ma non misera) e di duro lavoro. Ma la domenica si mettevano il vestito della festa, con la cravatta, il fazzoletto e le scarpe lucide - e a me sembravano Gran Signori - e andavano a messa in città e poi a fare due chiacchierare in piazza con il vestito buono a dirsi e a dire a tutti che anche loro erano Uomini, con la dignità, l'onore e la coscienza a posto di chi sapeva quale posto e ruolo occupavano nel mondo.
Non volevano ingannare nessuno e non volevano apparire ciò che non erano, credo volessero solo affermare il loro orgoglio di essere parte – seppur minima – di qualcosa di importante e di grande. E mi piace pensare che un po' lo facessero anche per il Signore, quello Vero che sta dietro le cose, un pò come quegli invitati al banchetto della parabola che stiamo meditando in questi mesi.
"La veste adeguata dice l'orientamento del cuore, la sintonia con l'evento a cui si partecipa, una coerenza tra il proprio sentire interiore e l'essere partecipi della festa del re" ci dice oggi l'esegeta. Loro non avevano studiato e non hanno mai letto libri di esegesi, eppure avevano questa Sapienza del cuore che a noi oggi spesso manca con il rischio di trasformare il vestito in strumento di potere o manifestazione di privilegio o peggio ancora maschera per fingere e ingannare.
Prendiamo Gli ambasciatori, un olio su tavola dipinto nel 1533 da Hans Holbein il Giovane e conservato alla National Gallery di Londra. Per un momento tralasciamo l'enigmatica immagine in basso al centro ed analizziamo la scena. In una stanza con un sontuoso mosaico cosmatesco sul pavimento e un'altrettanto sontuosa tenda verde damascata sulla parete, due uomini, un laico e un religioso, in splendide e ricche vesti (quelle del religioso un po' meno), con le barbe curate, sono appoggiati ad un mobile con due ripiani (quello in alto rivestito di un prezioso tappeto) pieni di libri e oggetti, alcuni, almeno per noi, misteriosi, ma senza dubbio preziosi.
Sono due personaggi storici: il ventinovenne Jean de Dinteville, ambasciatore francese in Inghilterra, e il venticinquenne Georges de Selve, vescovo di Lavaur che visitò l'amico a Londra nell'aprile del 1533. Nel dipinto sono contenute anche le indicazioni del giorno (11 aprile) e dell'ora (le 16) dell'incontro. Gli abiti e gli oggetti ci dicono chi sono realmente questi due uomini, senza finzione e senza atteggiamenti: due intellettuali nel senso pieno e nobile del termine rinascimentale (che usano, per mestiere, l'intelletto per conoscere il mondo, con rettitudine e onestà di cuore). Gli strumenti sul ripiano superiore rimandano infatti al quadrivio (aritmetica, geometria, musica, astronomia) le "arti" liberali per eccellenza. Guai a noi se giudicassimo questi due uomini con certi finti e capziosi parametri etici e morali di una certa contemporaneità che vede nella ricchezza e nel potere solo malvagità ed errore. Certo erano ricchi, ma usavano – questo credo volesse dirci Holbein – la loro ricchezza non per "viver come bruti, ma per seguire virtute e conoscenza".
Ma la conoscenza, se male intesa, può diventare peggio dell'ignoranza e trasformarsi in superbia e disprezzo degli altri. Non credo sia questo il caso dei nostri due giovani amici, loro sanno bene che la sapienza umana è vanità, sempre imperfetta e destinata a perire e che il vero sapiente e colui che sa volgere lo sguardo verso ciò che sta "dietro" le apparenze, oltre il visibile.
Comprendiamo allora il significato della figura al centro del quadro: un teschio (il classico memento mori) rappresentato in prospettiva anamorfica (fatta con un angolo visuale molto scorciato per distorcere l'immagine), come a dire che scienza e tecnica (rappresentata nel rinascimento dalla prospettica centrale fondata su geometrica e matematica) possono ingannare.
E ancora meglio comprendiamo il crocefisso, che appena si vede in alto a sinistra dietro la tenda, e tutti i riferimenti al Venerdì Santo di quell'anno tragico (1500 anni dopo il primo) in cui la chiesa di Inghilterra si staccò dalla chiesa di Roma (la corda spezzata del liuto simbolo dell'armonia perduta) come a dirci che nonostante tutte le cose (invenzioni scientifiche, vestiti sfarzosi, lusso ecc..) siano destinate a morire, si può rivolgere lo sguardo al Crocifisso, unico luogo dove ognuno può trovare la salvezza sua e della propria vita.

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