venerdì 31 ottobre 2014

Quanto vale la vita umana?

L'assedio della violenza spettacolarizzata è il bisogno di un esame di coscienza
di Luigi Alici
(tratto da Dialoghi n. 3 anno XIV)

Non avremmo mai immaginato un assedio più straziante e intollerabile di questo. La stampa, la televisione e ancora più la rete sono ammorbati, in questi mesi, da un orrendo odore di morte.
Il popolo dei social network, in particolare, al netto di paranoie maniacali da cui sembra invincibilmente attratto, intercetta e rilancia quasi ossessivamente foto e filmati raccapriccianti soprattutto legati a efferate esecuzioni sommarie da parte dei Jihadisti in Iraq.
La tecnologia ci consente di vedere quello che non avremmo mai immaginato: decapitazioni tra sghignazzi osceni, che nessuno accetterebbe mai di lasciar compiere su un animale; ragazze cristiane vendute come schiave, mamme urlanti e bambini yazidi disperati in marcia nel deserto, condannati a morire  o a sopravvivere in quel mix di disperazione e di odio che è l'incubatore perfetto di violenze inimmaginabili.
Il progresso è una medaglia: più aumenta il diametro, più crescono insieme, simultaneamente, le due facce opposte, positiva e negativa.
C'è qualcosa di inquietante in questa strana coabitazione di efficiente tecnologia e di cupa regressione nella barbarie. In molti casi, si ha la sensazione netta che la ferocia sia un ingrediente essenziale della spettacolarizzazione. Si può distruggere una vita con un gesto di crudeltà del tutto immotivata e gratuita, e questo è di per sé un atto gravissimo; lo si può fare, però, anche in modo calcolato e strumentale, perché quel sacrificio non sia "sprecato" ma serva ad un'astuta contabilità di morte, come l'ingrediente più efficace di un'aberrante logica (?) di potere. Questo - se possibile - è ancora peggio. I gironi infernali che sprofondano verso l'abisso del male sembrano non aver mai fine.
Ha scritto Robert Musil ne "L'uomo senza qualità" che "oggi solo criminali osano fare del male al prossimo senza una filosofia"; chi pretende di legittimare la violenza con una qualche presunta filosofia è criminale due volte, perché aggiunge alla violenza la menzogna, cercando di giustificare l'ingiustificabile. Il crimine estremo.
Quanto sta accadendo nel presunto califfato guidato da Abu Bakr al-Baghdadi, costituitosi in quel che resta dell'Iraq, è il concentrato di tutto questo. Vorrebbero farci credere che si tratta di una guerra di religione: in realtà siamo dinanzi a una brutale provocazione politica, che usa la fede in Dio come copertura ideologica per un'operazione di pulizia etnica in grande stile. I criminali dell'Isis non sono fedlei musulmani, ma fanatici sanguinari: una religione senza pietas non può esistere, è una contraddizione in termini.
Chi invece invoca una reazione "identitaria" dei cristiani, arrivando persino ad accusare, senza mezzi termini, papa Francesco di non essere un valido avvocato difensore dei propri fedeli, magari auspicando una benedizione papale su un bel bombardamento "in nome dei cristiani", dovrebbe ricordare che la forza militare dell'Isis è alimentata da un arsenale modernissimo e mostruoso lasciato in Iraq proprio dagli americani, che si trovano - ancora una volta - a dover combattere contro le loro stesse armi! Sarebbe invece il caso che il generale Colin Powell e l'ex presidente George Bush compissero un atto pubblico di scuse dinanzi al mondo intero per aver umiliato l'Onu, esibendo prove di armi irachene di distruzione di massa mai esistite, e innescato un conflitto sanguinoso che continua ancora oggi a rilasciare i suoi frutti avvelenati.
Questo senza nulla togliere - sia chiaro - alla condanna più ferma dell'Isis, la cui follia omicida va urgentemente arginata, per isolarne il delirio pseudo-religioso, prima di tutto con un atto di delegittimazione esplicita da parte di tutte le vere forze musulmane, come anche papa Francesco ha auspicato; e per fortuna si stanno moltiplicando le prese di posizione in tal senso da parte di molti imam e persino del Consiglio islamico siriano, seguito dall'Unione dei Sapienti della Siria.
Ma anche l'occidente deve liberarsi dei propri scheletri negli armadi. Gli scheletri della militarizzazione dei conflitti, prima di tutto, che s'illude di affidare il nuovo ordine mondiale solo al traffico delle armi; ma - a un altro livello - anche degli scheletri di un nichilismo pervasivo e senza residui, che ha abbandonato le nostre società più "evolute" alla solitudine più disperata. 
Gettare la vita umana sulla bilancia del potere, della recriminazione, del risentimento per ottenere un risultato anche solo dimostrativo è sempre un atto criminale, benché con gradi obiettivamente diversi di crudeltà e di complicità: ma lo è anche quando si vuol far credere che i morti intorno a Lampedusa non valgano la vita di un italiano; o quando si pensa che la vita di un bambino palestinese a Gaza non valga quanto la vita di un bambino israeliano a Gerusalemme (e viceversa, ovviamente). Tutti i dibattiti sulla sull'esportazione della democrazia e sulle forme più corrette ed efficaci per assecondare una pacifica transizione politica dalla "primavera araba" (come anche del conflitto russo-ucraino) verranno dopo: prima viene la dignità senza prezzo della vita umana e il dovere incondizionato di abbassare le armi dinanzi ad essa. Tutte le armi: quelle degli eserciti e quelle delle mistificazioni ideologiche.
Dopo l'incontro che si è svolto l'8 giugno 2014 (festa di Pentecoste!) in Vaticano tra papa Francesco, il patriarca Bartolomeo, il presidente dello stato di Israele Shimon Peres e il presidente della Palestina Abu Mazen, abbiamo pensato - non incautamente - che si potesse aprire una nuova pagina nel Medio Oriente, e forse è ancora così. Tuttavia, ogni volta che qualche regione devastata comincia a stabilizzarsi, sembra che i "signori della guerra" tornino prontamente a coalizzarsi, per riprendere saldamente in mano il controllo sulle vite umane, in cui consiste la degenerazione più diabolica del potere. In quell'occasione papa Francesco disse che ci vuole molto più coraggio per fare la pace che per fare la guerra. Questo coraggio comincia con l'isolare tutti coloro -  e non mancano nemmeno tra noi - che assecondano o legittimano l'ideologia della violenza. Il primo passo indisp'ensabile è chiamare le cose con il loro nome: chi si proclama padrone della vita, se in divisa o in jeans o in giacca e cravatta, è comunque un criminale due volte.
Purtroppo le violenze sconvolgenti che insanguinano ogni giorno, in casa nostra, il (dis)ordine degli affetti (tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle ...) e i venti di guerra che potrebbero preludere ad un nuovo conflitto mondiale "a puntate", come ha ammonito papa Francesco, sembrano parlare lo stesso linguaggio. Cambiano la potenza di fuoco e il carico delle vittime innocenti, ma la profanazione della frontiera tra umano e disumano è la stessa, e la violazione della vita non accetta statistiche quantitative. Forse non sappiamo più rispondere a una domanda elementare: "Quanto vale una vita umana?". E già il modo in cui poniamo la domanda stessa, confondendo il prezzo con la dignità, la dice lunga sul nostro smarrimento.
L'arruolamento avventuristico di giovani sbandati nelle file dell'Isis non può certo essere assimilato a una forma di conversione, ma i nostri ragazzi hanno forse buoni motivi per "convertirsi" al cinico nichilismo occidentale? Per questo, per tutti noi, - ma proprio tutti - è arrivato il momento per un serio esame di coscienza.

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