lunedì 17 febbraio 2014

La presenza dei cristiani nella società

La via laicale alla santità di Giuseppe Lazzati
di Simone Baroncia

Giuseppe Lazzati (1909-1986) potrebbe essere ricordato per molte ragioni: per i suoi contributi di studioso del cristianesimo antico, per l’impegno in Azione Cattolica che lo porta ad anticipare di trent’anni quella che sarà poi chiamata la "scelta religiosa" dell’AC, per la stagione di partecipazione diretta alla politica come deputato alla Costituente e poi al Parlamento, per il ruolo svolto come Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. 
Pur non essendo un teologo, Lazzati ha elaborato una sorta di via laicale alla santità. Già nel 1936, egli intende l’apostolato di AC come robustamente radicato nella realtà storica: si tratta di ‘portare Cristo alle masse’, non bisogna chiudersi nel bacino di utenza tradizionale, quello dei fedeli praticanti, ma aprirsi ‘agli uomini di campagna e di città, abitatori delle umili case e di grandi palazzi, lavoratori dei campi e operai, uomini di studio e di commercio, infelici per i quali non brillò la luce della verità, schiavi delle tenebre pagane’. 
Papa Francesco, il 5 luglio 2013 ha autorizzato la pubblicazione del decreto con il quale si riconosce che ‘Giuseppe Lazzati, Laico consacrato’ ha vissuto in modo singolare tutte le virtù cristiane e, pertanto, può essere usato per lui il titolo di Venerabile. Riportiamo brevi riferimenti di alcuni suoi scritti sulla santità.
Noi siamo nella Chiesa. Dio ci ha fatto questo dono che è indicibile, che non riusciamo ad esprimere. Ma, in qualche modo, possiamo dire che il proprio della Chiesa è fare i santi; che la natura della Chiesa è la santità, perché l’intima unione con Dio, la partecipazione alla vita di Dio, è la santità (Dio è il ‘Santo’). La Chiesa è Madre di santi, perché la santità è l’intimità con Dio ed unione tra tutti quelli che partecipano di questo mistero e, in prospettiva, è tendenza a condurre tutti gli uomini in questa realtà… Se ci abituassimo a sentire, a pensare e a vivere la Chiesa in questo modo, avremmo un grande aiuto nella nostra vita, anche per superare le difficoltà che s’incontrano nel concreto dei rapporti quotidiani. Questo sentire, pensare e vivere la Chiesa come sacramento, segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità del genere umano, significa capire meglio che tutti siamo chiamati a cose grandi. Infatti, anche da piccoli uomini, Dio, chiamandoci a vivere un’autentica vita cristiana –che è vita in Cristo, sotto la guida dello Spirito Santo-, ci dice il suo amore sconfinato, ci fa sentire la grandezza della nostra vocazione e ci impegna per viverla”.
L’animazione cristiana delle realtà temporali è la proposta concreta di metodi e modi atti a trovare soluzioni, le più valide possibili, dei problemi propri di quelle realtà. tale compito è affidato, in maniera ‘propria e peculiare’ (LG 31), all’opera dei fedeli laici che in quelle realtà vivono, gomito a gomito,per così dire, con gli uomini del loro tempo e di varia estrazione culturale. Il fine è di trovare insieme le soluzioni storicamente meglio rispondenti alle esigenze dell’uomo, le più capaci, cioè, di servire alla sua crescita plenaria di persona nelle sue componenti corporea e spirituale. e questo attraverso il confronto e il dialogo, naturalmente senza perdita della propria identità in quanto influente sulle realtà temporali, sempre nel rispetto della natura di tali realtà e della loro legittima autonomia, con sincero sforzo di comprendere l’altro. naturalmente nell’adempimento di tale compito essi, nella unità della chiesa, sono sostenuti dal ministero sacerdotale e dal magistero ecclesiale cui ricorrono con la fiducia di chi sa di averne bisogno per dare pienezza di valore e di efficacia alle proprie doti naturali”. 
Pensiamo che la funzione di una comunità ecclesiale davvero memore del Concilio dovrebbe essere quella di tener viva una tensione tra una vita interna che l’alimenta come intensa comunione e una vita esterna che l’espone agli occhi di tutti come una comunità dentro la città dell’uomo. Le nostre chiese locali dovranno realizzare questo equilibrio tra una circolazione interna di vita ecclesiale con i suoi carismi e i suoi ministeri, e la propria naturale tensione ad essere quell’esperta in umanità, quel segno di unità di cui l’umanità ha bisogno. Per conseguenza l’arte di declinare insieme l’ecclesiale e il sociale sarà decisiva per l’avvenire di queste nostre comunità ecclesiali. Potremmo dire che, sul piano del linguaggio, le nostre comunità dovranno saper dar voce a una liturgia, vera e propria poesia della comunione di fede; e insieme a un linguaggio quotidiano preso dentro gli usi di tutti gli uomini, una prosa. L’arte di vivere insieme la poesia della vita interna e la prosa del rapporto col mondo assicurerà il futuro e la fecondità delle nostre comunità”.

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