sabato 22 febbraio 2014

Luigi Rocchi: "amo la vita quindi accetto la croce!"

"Sciocchi, non vi accorgete di essere felici?"
di Simone Baroncia

Luigi Rocchi, nasce a Roma il 19 Febbraio 1932 muore a Macerata il 26 Marzo 1979 all'età di 47 anni, dopo averne passati 28 immobile mani e piedi, in un letto, colpito da distrofia muscolare progressiva. 
Il primo a ribellarsi è lui, che attraversa tutte le fasi della difficile convivenza con la malattia: tristezza prima, crisi esistenziale poi, cui si aggiunge una crisi di fede e una ribellione fino all’orlo della disperazione. A salvarlo in extremis, dice lui, è la frase ‘Luigino, Gesù ti ama’, che la mamma, come una cantilena, gli ripete da quando è piccolo, tanto più vera se si considera il cammino di fede che questa donna semplice ha dovuto compiere per arrivare ad accettare la malattia del figlio ed a tenerselo in casa, contrariamente all’abitudine dell’epoca di ricoverarlo in qualche istituto. 
Attingendo a quanto l’Azione Cattolica gli ha trasmesso in adolescenza ed alla preghiera che diventa il respiro della sua giornata, arriva alla conclusione che ‘quando si è una candela che si consuma si può scegliere di ardere in cantina o su un altare’. 
E’ in corso a Roma la causa di Beatificazione. Riportiamo un suo breve articolo scritto per il ‘Messaggero di Sant’Antonio’ il 25 ottobre 1975; un estratto dell’omelia della messa celebrata da mons. Claudio Giuliodori il 30 marzo del 2009 (trentennale della morte).

Spesso il mondo e la psicologia dei sani, di chi non ha conosciuto la vera sofferenza, è fondata prevalentemente sulle cose che non contano, e la vita finisce per divenire monotona, una biada da rimuginare giorno per giorno. E a loro le ore non portano più quei mille accadimenti, che un malato nota e vive come cose meraviglio se per lui impossibili. Per esempio, scendere o salire le scale, varcare una soglia, lavarsi la faccia, pulirsi i denti, portarsi alle labbra un bicchiere d'acqua fresca, abbracciare un bambino, tendere la mano a qualcuno, e così via. Per me, sono tutte cose straordinarie, e chissà che cosa pagherei per poterle fare, mentre chi può farle non se ne accorge nemmeno, e per lui finiscono per essere insignificanti. Le persone che stanno bene spesso perdono il riferimento con la realtà vera, e finiscono per dare un'importanza enorme ai piccoli fastidi, che non mancano mai. Un leggero mal di testa, un doloretto a un'articolazione, e si ha già il cattivo umore. Un carburatore difettoso, un autobus che si perde, un fine settimana guastato da un po' di nuvole, ed é la fine del mondo. La pastasciutta troppo salata, l'antenna del televisore difettosa, il telefono che squilla mentre si sta facendo il bagno, il vicino che fa un pò di rumore, i bambini che ‘non stanno mai fermi’, e ci si sente perseguitati dalla scalogna e vittime del prossimo crudele. Si bestemmia che la vita é una buggeratura. Eppure la vita, quella vera, è offerta in dono ogni giorno, e per gioirne basterebbe aprire il palmo della mano, accoglierla e rallegrarsene, è tutto un modo di essere che pare assurdo e ridicolo a chi, come noi, vive lo stillicidio di una crocifissione quotidiana. Il valore autentico della vita, le persone sane finiscono per perderlo. La sofferenza diviene a volte un pungolo a vivere più intensamente il momento presente e porta a cogliere totalmente la vita, il valore di un sorriso e di un atto di bontà. Quante volte mi viene voglia di gridare ai sani: ‘Sciocchi, non vi accorgete di essere felici? Io non vi invidio, Vi esorto solo a gioire della vita’. E quando prego aggiungo alle parole dell’orazione che Gesù ci ha insegnato: ... E fa’, o Padre, che quanti hanno salute si accorgano della fortuna che hanno e della felicità che vivono”.
Ha vissuto una semplicità assoluta ma sconvolgente. La sua vita, a 19 anni, è stata bruscamente segnata da un evento che progressivamente lo ha portato alla totale paralisi. Una vita, secondo la logica del mondo, praticamente inutile, incapace di esprimere e realizzare quelle attese e quelle speranze che ogni giovane, a 19 anni, legittimamente non può non avere di vivere nella salute, di vivere nella piena espressione delle sue capacità fisiche, intellettuali, affettive. Una vita su cui scendeva invece un triste sipario di malattia e di sofferenza, con verdetti medici che non lasciavano spazio ad alcuna speranza umana. Un travaglio, tremendo, che ha accompagnato i primi anni della sua esperienza della malattia, ma che lo ha portato piano piano a scoprire che, attraverso questo calvario, questa quaresima permanente a cui il Signore lo chiamava, in realtà la sua vita si riempiva di luce e il Signore gli concedeva una grazia tutta particolare: non la salute del corpo ma quella salute ben più preziosa che è la salute dell’anima, la salute della vita spirituale. E a 25 anni, confortato anche da una particolare luce, da una visione, da una manifestazione forte dell’Amore Misericordioso di Dio si è reso conto che la sua vita non era una vita perduta, una vita sprecata, una vita a perdere; tutt’altro! Era una vita che Dio chiamava ad essere spesa fino in fondo in una testimonianza tra le più alte, tra le più luminose che la storia dell’umanità possa ricevere: quella che viene data attraverso la sofferenza. L’apparente inutilità diventa la ricchezza più preziosa e tutta la sua vita, fino a 46 anni quando il Signore lo ha richiamato a Sé, è stata poi spesa ininterrottamente per diventare segno e testimonianza forte di questo primato di Dio nella sua vita… E a chi gli domandava, tra cui anche don Rino il postulatore che è qui: ‘Ma allora questa croce non è pesante? Come fai a portare questa croce?’ dice: ‘La croce certamente io non la amo; anche il Signore, anche Lui, ha sudato sangue, ha chiesto che passasse questo calice. Ma io so, e ho fatto esperienza, che l’amore di Dio è così grande, è così forte che per amore si può abbracciare anche la croce; anzi, la croce ha valore, ha significato solo nel momento in cui non diventa un fine a se stessa ma il segno, lo strumento dell’offerta e del dono della vita’. E il seme che lui ha saputo piantare in questa nostra terra, nella terra costituita nel cuore delle persone che lo hanno conosciuto e amato, rappresenta anche per noi un tesoro prezioso che dobbiamo saper coltivare, vivere e trasmettere anche alle future generazioni”.

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